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Insegnare filosofia:
modelli, pratiche, sperimentazioni

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A cura di

Enrico Cerasi  (Università Telematica Pegaso)

Valentina Sperotto (Università Ca' Foscari Venezia)

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Parafrasando l’inizio della Scienza come professione di Weber, ci si può chiedere come si configura la situazione di un laureato o di una laureata che oggi decida di dedicarsi professionalmente all’insegnamento della filosofia nelle scuole secondarie di secondo grado. Standardizzazione didattica, crescente burocratizzazione, predominio delle metodologie generaliste, riduzione delle ore disponibili: come possono oggi i/le docenti interpretare in modo autonomo il ruolo di mediatori e interpreti del sapere? Le “condizioni esterne” sembrano rendere problematica la risposta a questa domanda e complicare una didattica filosofica che, se intesa come disciplina culturale, non può essere insegnata come serie frammentaria di nozioni. In questo senso si sarebbe tentati di affermare con Whitehead che «l’essere discesi dalla divina saggezza, che fu la meta degli antichi, fino alla conoscenza manualistica, che è attuata dai moderni, sta a indicare un insuccesso educativo che si è prolungato per secoli» (I fini dell’educazione). Tuttavia, nonostante la vaghezza paradigmatica, le costrizioni burocratico-amministrative, la problematicità dei manuali ecc., l’approccio didattico della filosofia, intesa come storia della filosofia, contiene ancora una molteplicità di paradigmi che sarebbe fruttuoso portare alla luce.

Non solo alcune buone pratiche didattiche sopravvivono, ma ne sono emerse di nuove che possono aprire prospettive interessanti, in particolare a partire da un confronto, anche critico, con ciò che avviene fuori dai confini nazionali. Però, nella maggior parte dei casi all’estero l’approccio storico manca e, forse, proprio questo aspetto potrebbe far emergere i punti di forza di una didattica che non consideri i problemi della filosofia come eterni, ma sia in grado di calarli nel loro contesto spazio-temporale. Così, un approccio storico critico può scalfire l’oblio promosso dall’eterno presente in cui sembriamo talvolta immersi e la speculare «ossessione delle commemorazioni», come l’ha definita Serge Gruzinki (Abbiamo ancora bisogno della storia? Il senso del passato nel mondo globalizzato).

In quest’ottica l’approccio storico alla filosofia non è contrario all’insegnamento di una capacità critica, anzi, è in grado di promuoverla. È proprio attraverso la storia, infatti, che si possono cogliere dialetticamente le sfide del presente – dall’emancipazione all’ecologia – e così «cercare di strappare la tradizione al conformismo che è in procinto di sopraffarla» (Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia). La filosofia può dunque evitare che la scuola si trasformi in una forma di addestramento «non solo alla disciplina ma anche alla subordinazione» (Ivan Illich, Scolarizzare: uno sforzo vano), promuovendo, al contrario, quell’autonomia di pensiero che, come ricordava Kant, permette di uscire da uno stato di minorità.

Ma forse vi è una ragione più profonda dell’attuale impasse dell’insegnamento della filosofia nelle scuole superiori. Nel primo aforisma dei Minima moralia Adorno rifletteva sull’ambivalenza di un autore come Proust. Figlio di genitori benestanti, Marcel poteva permettersi di rifiutare la divisione sociale del lavoro, compreso quello intellettuale, attirando su di sé la diffidenza dei “colleghi” costretti a sottomettersi alle esigenze del lavoro salariato. Nello snobismo aristocratico di Proust vi era al tempo stesso un rifiuto nostalgico di sottomettersi alla società mercificata e un’anticipazione utopica di un mondo redendo dalla forma di merce. L’insegnante di filosofia è un lavoratore salariato, che non può permettersi gesti aristocratici. Tuttavia nella filosofia vi è un’ambivalenza che forse spiega la diffidenza che provoca nella burocrazia ministeriale. Da una parte è una materia tra le altre, sottoposta alla metodologia e alla valutazione standardizzata di ogni altra disciplina; dall’altra vi è in essa, ineludibile, una promessa di redenzione dalla meccanizzazione dello spirito che, dai presocratici a Wittgenstein e Heidegger, risuona come un basso continuo in tutta la sua storia. Ciò consegna l’insegnante di filosofia alla scomoda situazione di impiegato di uno stato burocratico e di rappresentante di una storia biografica e intellettuale che ha cercato la libertas philosophandi (Spinoza) come anticipazione di un mondo redento.  Ciò suggerisce una disposizione interiore ad equilibrismi difficilmente insegnabili nei corsi di abilitazione all’insegnamento, inevitabilmente proni alle esigenze della burocrazia ministeriale.

 

NOTA: Non è prevista alcuna tassa di pubblicazione degli articoli per i manoscritti accettati. I manoscritti non devono essere sottoposti a revisione da parte di altre pubblicazioni al momento dell'invio alla rivista.

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Termine ultimo di consegna: 29 gennaio 2027

I potenziali contributori sono invitati a inviare i loro articoli, comprensivi di abstract e dei dati completi di affiliazione, a entrambi i seguenti indirizzi e-mail:

enrico.cerasi@unipegaso.it

valentina.sperotto@unive.it.

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Teaching Philosophy: Models, Practices, Experiments

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Edited by

Enrico Cerasi  (Università Telematica Pegaso)

Valentina Sperotto (Università Ca' Foscari Venezia)

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Paraphrasing the opening of Max Weber’s Science as a Vocation, one may ask how the situation appears today for a graduate who decides to devote their professional life to teaching philosophy in upper-secondary schools. Pedagogical standardization, growing bureaucratization, the predominance of generic, one-size-fits-all methodologies, and the reduction of teaching hours all raise a crucial question: how can teachers of philosophy still exercise genuine autonomy in their role as mediators and interpreters of knowledge? The “external conditions” seem to render any answer problematic, and to complicate a philosophical pedagogy which—if philosophy is understood as a cultural discipline—cannot be reduced to the fragmented transmission of disconnected notions. In this sense, one is tempted to concur with Alfred North Whitehead when he observes that the descent “from the divine wisdom that was the goal of the ancients to the handbook knowledge realized by the moderns” signals an educational failure that has persisted for centuries (The Aims of Education). And yet, despite paradigmatic vagueness, bureaucratic and administrative constraints, the problematic status of textbooks, and so forth, the prevailing approach to philosophy teaching, understood as history of philosophy, still contains a multiplicity of paradigms that it would be fruitful to bring to light.

Not only have certain good teaching practices endured, but new ones have emerged that may open up interesting perspectives – especially when they are placed in dialogue, even critically, with what is happening beyond national borders. In most cases, however, philosophy education abroad lacks a specifically historical approach. Perhaps it is precisely this feature that might allow the strengths of a pedagogy to emerge which does not treat philosophical problems as eternal, but is instead able to situate them within their specific spatial and temporal contexts. A historically informed critical approach can thus erode the amnesia produced by the “eternal present” in which we at times seem immersed, as well as the corresponding “obsession with commemorations”, to use Serge Gruzinski’s expression (L’histoire, pour quoi faire?).

From this perspective, a historical approach to philosophy is by no means opposed to the cultivation of critical capacities; on the contrary, it is uniquely placed to foster them. It is precisely through history that we can dialectically grasp the challenges of the present – from emancipation to ecology – and thereby “seek to wrest tradition from the conformism that is about to overwhelm it” (Walter Benjamin, Theses on the Philosophy of History). In this way, philosophy can help prevent the school from turning into a mechanism of training “not only in discipline but also in subordination” (Ivan Illich, The futility of Schooling), and can instead promote that autonomy of thought which, as Kant reminds us, enables us to emerge from a condition of immaturity.

There may, however, be a deeper reason for the current impasse in the teaching of philosophy at upper-secondary level. In the opening aphorism of Minima Moralia, Adorno reflects on the ambivalence of an author such as Proust. As the son of affluent parents, Marcel could afford to reject the social division of labour, including intellectual labour, thereby attracting the suspicion of “colleagues” compelled to submit to the demands of wage labour. In Proust’s aristocratic snobbery, there coexisted both a nostalgic refusal to submit to a commodified society and the utopian anticipation of a world redeemed from the commodity form. The philosophy teacher is a salaried worker who cannot afford such aristocratic gestures. Yet philosophy itself contains an ambivalence that may help to explain the mistrust it provokes within ministerial bureaucracies. On the one hand, it is a subject among others, subjected to the same methodologies and to the same standardized mechanisms of assessment as any other discipline. On the other hand, it bears within it an inescapable promise of redemption from the mechanization of the spirit – a promise that, from the Presocratics to Wittgenstein and Heidegger, resounds as a constant undertone throughout its history.

This duality places the philosophy teacher in the uncomfortable position of being at once a functionary of a bureaucratic state and the representative of a biographical and intellectual history that has sought the libertas philosophandi (Spinoza) as an anticipation of a redeemed world. It suggests an inner disposition to a form of tightrope walking that can hardly be taught in teacher-training programmes, which are inevitably bent to the needs and requirements of ministerial bureaucracy.

 

NOTE: No article processing charges will be levied for accepted manuscripts. Submissions must not be under review by any other journal at the time of submission.

 

Submission deadline: 29 January 2027

 

Prospective contributors are invited to submit their articles—together with an abstract and full affiliation details – to both of the following e-mail addresses:

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G.C.S.I. - Giornale Critico di Storia delle Idee
Rivista internazionale di filosofia

Direzione Editoriale:
Andrea Tagliapietra e Sebastiano Ghisu

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Autorizzazione del Tribunale di Sassari n.455 del 14/7/2008 - ISSN 2035-732X  ISSN(cartaceo) 2240-7995

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